LA MALATTIA RARA NON SCUSA IL MEDICO CHE SBAGLIA LA DIAGNOSI

La Corte di Cassazione in materia di errore medico, ha stabilito che la malattia rara non scusa il medico per aver sbagliato la diagnosi.
Il semplice fatto che la malattia rara è più difficile da “scoprire” e quindi da diagnosticare non costituisce infatti una scusante per il clinico che non riesce ad individuare per questo motivo il male del paziente.

Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 6093 del 12 marzo 2013 con cui la Cassazione, rappresentando il suddetto principio, ha annullato la “superficiale” decisione che nella fattispecie era stata assunta dai giudici d’appello che sul punto avevano concluso per escludere la colpa dei tre medici che avevano erroneamente diagnosticato una neoplasia ad un paziente ed avviato i cicli di chemioterapia mentre invece si trattava di una rara forma di tumore benigno.

I tre medici (un chirurgo, un anatomo-patologo ed il primario) avevano cercato di difendersi innanzi ai giudici di merito sostenendo che la rarità della patologia era tale da poter indurre gli stessi in errore e, pertanto, hanno cercato di giustificare il loro operato allontanando ogni ipotesi di imperizia, imprudenza e di negligenza.
La difesa dei medici però, anche se ha avuto successo nella fase di merito, ha trovato il giudizio contrario della Cassazione che ha ribaltato l’esito affermando che la decisione assunta dai giudici territoriali fosse “superficiale” e “frettolosa”.

La Terza Sezione Civile ha infatti ribadito che la limitazione della responsabilità medica ai soli casi di colpa grave riguarda solo la imperizia, ma non l’imprudenza e la negligenza che devono essere attentamente valutate ai fini del risarcimento del danno.

Sulla base di tali considerazioni, gli Ermellini hanno quindi rinviato gli atti ai giudici di secondo grado affinchè valutassero nuovamente il caso tenendo presente queste motivazioni.

I giudici d’appello dovranno inoltre valutare la vicenda considerando che la paziente era stata sottoposta a lunghi cicli di chemioterapia che si è conclusa soltanto quando era risultato sospetto un dato all’inizio considerato non determinante: i marker tumorali erano sempre nella norma.

La Cassazione ha inoltre ribadito che la responsabilità dell’azienda ospedaliera è di carattere contrattuale che nasce allorchè il malato accetta il ricovero o una visita ambulatoriale mentre quello tra medico e paziente è fondato su un “contatto sociale” cioè su un fatto idoneo a produrre una “obbligazione”.

La Corte conclude elencando anche i doveri del primario che deve “definire i criteri diagnostici e terapeutici” ed essere a conoscenza delle situazioni cliniche di tutti i pazienti, attraverso la visita diretta o interrogando gli operatori sanitari.

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